Storia sociale : Punti di vista

 

Facciamo un salto ad inizio ‘900, non abbandonando del tutto il mondo della musica e della canzone. Oggi esporremo due opposti “punti di vista” riguardanti un fenomeno molto in voga all’epoca del Cafè Chantant e delle sue maggiori protagoniste: le sciantose. Potrà sembrare effimera la disputa e, quindi, la ragione di tali esposizioni “letterarie”. Figura caratteristica e massima espressione artistica, e di quel determinato e spassionato periodo storico della nostra Cultura musicale che, all’epoca dei fatti, non aveva pari nel mondo La “singolar tenzone” vide protagonisti Roberto Bracco, uomo dal comportamento sempre serioso ed austero (in questo caso, però “ironico” e allusivo); l’altro, Vincenzo Della Sala, meridionalista e giornalista di un certo rilevo, questi affrontò la “questione” in modo alquanto brusco e diremo ingeneroso. I due intellettuali, probabilmente ignavi dei reciproci scritti, erano comunque amici e colleghi d’arte. Della Sala lo redisse nel 1905, appena un anno dopo l’articolo del Bracco. Passiamo alla documentazione cartacea che ci ha indotto a pubblicare l’avvenimento. Non prima, però, gratificarvi di una foto d’epoca dell’oggetto della disputa, ognuno può, quindi, farsene un’idea. Bracco, Roberto. - Drammaturgo italiano (Napoli 1861- Sorrento 1943). Esercitò a lungo il giornalismo (dove aveva esordito giovanissimo, nel Corriere del mattino di Napoli), anche come critico drammatico e d'arte (Scritti vari, 1918-21); scrisse versi dialettali e novelle (Smorfie umane, 1906; Smorfie gaie, 1909; Smorfie tristi, 1909). Dei molti suoi lavori per il teatro, che ottennero largo successo e furono rappresentati anche all'estero, si raccomandano le commedie e i drammi dove l'originario naturalismo, spesso così crudo, e le ideologie sue e del tempo spesso esasperate secondo schemi ibseniani (I fantasmi, 1906; I pazzi, 1922; ecc.) riescono a temperarsi in un trepido psicologismo, in un'aura intimista, precorritrice del "teatro del silenzio", nonché di certi motivi pirandelliani e freudiani: Elogio alla Sciantosa, di R.Bracco - Vedete: io la sciantosa ho un gran concetto, che, come donna, essa è la più costante. Ma se offre solamente un Do di petto, non è chanteuse autentica: è cantante. Or dunque la sciantosa da un diletto profondo, ponderale e...toccante; e non di meno a dichiarar m'affretto che c'è delle sciantose integre e sante. Le brutte, per esempio, chi le tocca? E le altre, le carine, o sagge o strambe, io tutte, in certo modo, ammiro e apprezzo. Ma da quella che canta con la bocca e quella che poi canta con le gambe, io scelgo, in verità...la via di mezzo. Napoli, dicembre 1904 Vincenzo Della Sala (1861-1936). Napoletano, letterato, critico, eclettico, è personalità ancora misconosciuta agli studi storico-artistici, mentre il suo nome compare spesso in quelli di critica letteraria. Autore tra i più prolifici di racconti ‘fantastici’ secondo il gusto e le trame di un filone divenuto fortunato grazie alla diffusione proprio attraverso la stampa periodica, alternò spesso alla sua vena letteraria l’attività di critico d’arte contemporanea, secondo una tradizione di interesse per la produzione figurativa che da Vittorio Imbriani giunge sino a Salvatore Di Giacomo. La militanza in questo settore si riassume nel volume dal titolo Profili meridionali pubblicato nel 1885 e ampiamente arricchito nel 1935 in una nuova edizione dal titolo Ottocentisti meridionali dedicata a Benedetto Croce. È il 16 marzo del 1890 quando vede la luce il primo numero della rivista «Cronaca partenopea», fondata a Napoli da Vincenzo Della Sala. La Chanteuse, di Vincenzo Della Sala - I linguisti tacciano, non arriccino il naso, non mi squadernino i lessici dal Viani al Rigutini. Se l’invasione del genere è francese l’acclimazione, in Italia, è perfetta. La parola gallica sia pure di decadenza, tende all’universalità. La gonnella corta, arrivi alla caviglia od al ginocchio e sia anche più su; le gambe, pienotte o sottili, irreprensibilmente modellate dalla ben aderente calza nera di seta; il piccolo piede irrequieto, le braccia esili o ben tornite, avvinte e compresse dai lunghi guanti di seta o di pelle bianca, quando non si mostrano in tutta la loro nudità, il seno turgidetto, floscio o piallato addirittura, ma sempre bianco perlaceo, anche se il candore rasato sia effetto di trucco sapiente, l’acconciatura capricciosa dei capelli di un nero inverosimile o di un biondo d’oro, angelicamente soave o di un vivido rosso tizianesco, la forma strana ed originale dei capelli, dalle arditezze di una eccentricità esagerata, lo scintillio dei brillanti, più o meno Bera, più o meno Tait, più o meno article de Paris, sempre, e che darebbero il capogiro, se non fossero della più autentica, più indiscutibile composizione chimica, tutto questa non è di generazione spontanea italiana, esso ci è importato dalla Francia, repubblicana. La chanteuse, quindi, e non la cantante, e come talvolta il vino, si può anche ottenere dall’uva, può anche darsi che la chanteuse canti. Per lo più, invece, si agita. Dimena le braccia, agita la testa, strabuzza gli occhi, dilata le narici dipinte, fa sollevare e abbassare sapientemente il seno lascivetto, sgambetta, suda, affanna, tira su più che le riesca, la gonnella, ma, in quanto a voce, è vano chiedergliene, è afona sgolata, rauca. Non accenna e non colorisce, non canta e non dice. Quando non strilla, stona; quando non stona, miagola; abbaia, squittisce; ma mette in molle ondulazione anche pienotte, mostra i bei dentini perlacei, spiccanti nella carnosa turgidezza delle labbra miniate, e l’applauso dei vecchi impenitenti infrolliti o dei giovani fantasiosi inesperti, sacrificanti a Venere solitaria dopo l’orgia degli occhi e dopo la febbre del sangue; l’applauso, che è suggello di compiacimento o promessa d’investitura; l’applauso che non è rivolto quasi mai all’artista o alla donna, ma quasi sempre alla femmina, non manca mai. È un’arte inferiore, ma che ha, caratteristiche spiccate, la turbolenta vivacità birichina, che sa dare rilievo all’illusione come al doppio senso, all’arguzia elegante come all’accento scurrile, la civetteria piacente e graziosa, che fa strappare l’applauso dell’ammirazione; la seduzione, se non profonda, subitanea: fuoco di paglia, che, se dura poco e non riscalda, illumina presto e senza difficoltà. Arte inferiore, ma diabolicamente sensuale e lasciva, che seduce gli inesperti e riesce a far delirare i vecchi; che ha sostenitori accaniti ed adoratori ciechi per la leggerezza, per la facilità, per la grazia, per la spensieratezza, per la scapigliata impertinenza, per la sfrontatezza, per la corruzione elegante e galante, per le seduzioni raffinate, per la sua giocondità, indizio di giovinezza e di esuberante vitalità.