Giuseppe Capaldo : ---il Poeta bucolico---
Nella prima metà dell’Ottocento , si impose negli usi e costumi della società napoletana l’usanza
di sorbire una tazzina di caffè, seduti al tavolino di un locale. I Caffè diventarono in poco tempo
particolarmente numerosi, in via Toledo se ne contavano almeno una trentina. Quelli più importanti
erano frequentati da i nobili e dall’alta borghesia , quelli più popolari , che si concentravano
nella zona del porto, erano frequentati da nullafacenti . Molta storia della città è stata decisa ai
tavoli di un Caffè, dove giovani rivoluzionari, provenienti da tutto il sud Italia, operavano a fini propagandistici.
In questo periodo i Caffè diventarono ritrovo di artisti e punto d’incontro di uomini di cultura.
In uno di essi, Il Caffè Portorico sito in via G. Sanfelice, oggi scomparso, si sviluppa la storia
di una delle più famose canzoni napoletane << ‘A Tazza ‘e Cafè>> del poeta G. Capaldo musica di
V. Fassone, siamo nel 1918. Intorno alla nascita di questa canzone ci sono molti aneddoti, il più
diffuso racconta che il poeta Capaldo cameriere di quel Caffè si fosse invaghito della bella cassiera
Brigida e che dopo l’ennesimo rifiuto di lei abbia scritto la canzone. Ma a quella data Capaldo era un
affermato poeta e aveva già smesso da tempo i panni da cameriere, sua prima occupazione. Nella ricostruzione
della genesi della canzone ci viene in aiuto un autorevole testimone , Tolmino Capaldo, figlio del poeta
in un suo articolo, del quale riportiamo uno stralcio, racconta:
Era una calda sera. La fatica dei canzonieri per la Piedigrotta era già al diapason, nel predetto caffè,
non vi erano tanti avventori, non mancavano alcuni poeti, tra questi c’era B. Canetti il quale animò una
discussione con la cassiera, quelle discussioni a senso diversivo che spesse volte nascono nei locali
pubblici, a cui presenziava il Capaldo. Invano, però, questi poteva entrare in argomento con i discutenti:
veniva sistematicamente , umoristicamente, abbordato dalla cassiera Brigida. E quindi, respinto dall’arguzia
della simpatica interlocutrice. Allora il Capaldo si mise a distanza, e meditando le esuberanti forme della
ragazza e la dialettica parlantina, chiese una tazza di caffè al banco. Quando cominciò a sorseggiarlo, al
primo sorso, si portò ad un tavolo, prese carta e matita, e cominciò a scrivere: Vurria sapè pecchè si me
vedite facite sempe ‘a faccia amareggiate. Dopo pochi istanti, nel locale, entrò Vittorio Fassone. E questi,
nel vedere il suo amico e poeta intento a scrivere, lo investì: ---Peppì, e ancora? Oramai Piererotta se
po dì ch’è accuminciata!
Il Capaldo sorpreso alzò lo sguardo e vide che il suo amico portava in mano della musica. ---E tu,
Vittò, a cchi puorte chella robba si piererotta è accuminciata.
--Ah – disse Fassone, con un significativo sorriso – Bovio, m’ha fatto fa a nuttata. << Ncopp’ ‘a ll’onne >>.
‘A vò pubblicà.
E gli mostrava la musica. Così, Fassone abbassando lo sguardo sul tavolino leggeva: --E tanto c’haggia girà,
e tanto c’haggia avutà.. oh bella chest’è ‘bbona… Peppì famme vedè….
E inavvertitamente uscirono dal caffè chiacchierando delle canzoni, della prossima piedigrotta e, soprattutto
della musica da dare a << ‘A Tazza ‘e Cafè >>
Due mesi più tardi, già tutta Napoli cantava, attraverso la creazione di Elvira Donnarumma e Tecla Scarano,
<< ‘A Tazza ìe Cafè>>.
Fu così, che una tazzina di caffè va tuttora per il mondo.